Le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo d’imposta in cui vengono sostenute se rispondono ai requisiti di inerenza e congruità. Ecco come funzionano.
Cosa sono le spese di rappresentanza?
Sono spese di rappresentanza quelle spese sostenute con lo scopo di migliorare l’immagine dell’impresa. Esse presuppongono una forma di erogazione liberale, poiché il destinatario delle spese non è tenuto ad alcuna contropartita. Può costituire spesa di rappresentanza una cena offerta ad un cliente, ma anche un omaggio natalizio. Le spese devono essere effettivamente sostenute ed adeguatamente documentate, pena l’indeducibilità.
Qual è la prima caratteristica delle spese di rappresentanza?
La prima caratteristica che devono presentare le spese di rappresentanza corrisponde alla gratuità. In particolare tali spese devono essere caratterizzate dalla mancanza di:
- un corrispettivo da parte dei destinatari di una determinata prestazione;
- un obbligo di dare o fare a carico degli stessi.
La detrazione, sotto forma di credito d’imposta, non può essere ceduta alle pubbliche amministrazioni di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
La disposizione riguarda, inoltre, i soggetti IRES e i cessionari del credito che possono, a loro volta, effettuare una sola ulteriore cessione.
Va specificato che l’assenza di corrispettivo non deve portare ad assorbire nella categoria delle spese di rappresentanza ogni cessione di beni o prestazioni di servizio a titolo gratuito.
Non rientrano nella categoria, ma soggiacciono a regole proprie:
- le spese sostenute nell’ambito di operazioni e concorsi a premio,
- gli omaggi contrattuali (vendite promozionali del tipo “tre per due”),
dato che seppur formalmente gratuite, i beni ovvero i servizi “omaggiati” in realtà non sono a titolo gratuito ma rientrano in un rapporto di natura sinallagmatico.
Si sottolinea che la gratuità della spesa, rappresenta l’elemento che consente di distinguere le spese di rappresentanza da quelle di pubblicità. Nessun rilievo viene, invece, attribuito dalla normativa attuale al criterio distintivo basato sull’oggetto del messaggio che, si ricorda, era individuato nel prodotto (per le spese di pubblicità) e nella “ditta” (per le spese di rappresentanza).
Cos’è il principio di inerenza?
La definizione del principio di inerenza ha da sempre suscitato un attivo a causa dei dubbi in riferimento all’esatta individuazione del suo ambito di applicazione, anche perché non vi è una sua definizione normativa nel Testo unico delle imposte sui redditi. La scelta operata dal legislatore tributario è stata quella di tracciare l’inerenza solo come principio generale, dandone un profilo abbastanza adattabile. I confini di tale concetto generale sono tracciati dal nesso di causalità e attinenza che deve esserci tra i componenti negativi di reddito e l’attività d’impresa, o i singoli beni da essa venduti.
In altre parole, ai fini dell’inerenza, deve comunque sussistere un rapporto di causa-effetto tra costi e benefici, intesi come riflessi positivi sul reddito, nel senso che i costi sostenuti dall’imprenditore devono essere, almeno potenzialmente, utili al conseguimento di benefici per l’impresa.
Nelle spese di rappresentanza l’inerenza di ogni singola spesa viene identificata con la finalità promozionale e di pubbliche relazioni intendendo con tali termini rispettivamente:
- la divulgazione sul mercato dell’attività svolta dalla società nonché, la divulgazione dei beni prodotti e/o dei servizi prestati, a beneficio sia degli attuali clienti, sia di quelli potenziali
- tutte le iniziative che, senza una diretta correlazione con i ricavi, sono volte a diffondere e/o consolidare l’immagine dell’impresa o ad accrescerne l’apprezzamento presso il pubblico.
In particolare, le pubbliche relazioni consistono nelle attività necessarie ad instaurare o mantenere i rapporti con i rappresentanti delle Amministrazioni statali, degli Enti locali, ecc. o con organizzazioni private quali le associazioni di categoria, sindacali, ecc.
Ci sono dei limiti alla deducibilità delle spese di rappresentanza?
Il sostenimento delle spese di rappresentanza deve soddisfare anche il rispetto dei nuovi limiti fissati dalla norma primaria di cui all’art. 108 comma 2 del TUIR.
Nello specifico, le spese in esame deducibili nell’esercizio di sostenimento sono commisurate all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell’impresa (voci A.1 e A.5 del Conto Economico), risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativo allo stesso periodo in misura pari ai seguenti limiti:
- ricavi fino a 10 milioni di euro: 1,5%
- parte eccedente i 10 milioni e fino a 50 milioni di euro: 0,6%
- parte eccedente i 50 milioni di euro: 0,4%.
Il rispetto di tali limiti comporta l’insindacabilità della congruità delle spese suddette.
Le spese devono, comunque, in alternativa:
- rispondere a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare, anche potenzialmente, benefici economici per l’impresa;
- risultare coerenti con pratiche commerciali di settore.
Ci sono delle spese che sono sempre considerate di rappresentanza?
Al fine di semplificarne l’applicazione pratica, la norma individua talune spese che, pur presentando un’evidente caratterizzazione di “spese di intrattenimento” in senso ampio, possono considerarsi inerenti all’attività dell’impresa nei limiti di congruità nonché nei limiti quantitativi prima schematizzati e sono:
- spese per viaggi turistici in occasione dei quali siano programmate e in concreto svolte significative attività promozionali dei beni o dei servizi la cui produzione o il cui scambio costituisce oggetto dell’attività caratteristica dell’impresa
- spese per feste, ricevimenti e altri eventi di intrattenimento organizzati in occasione di ricorrenze aziendali o di festività nazionali o religiose
- spese per feste, ricevimenti e altri eventi di intrattenimento organizzati in occasione dell’inaugurazione di nuove sedi, uffici o stabilimenti dell’impresa
spese per feste, ricevimenti e altri eventi di intrattenimento organizzati in occasione di mostre, fiere ed eventi simili in cui sono esposti i beni e i servizi prodotti dall’impresa - è prevista anche una fattispecie residuale identificata, in termini generali, in ogni altra spesa per beni e servizi distribuiti ovvero erogati gratuitamente, ivi inclusi i contributi erogati a titolo gratuito per convegni, seminari e manifestazioni simili, il cui sostenimento risponda ai criteri di inerenza e congruità sopra descritti.
Ci sono delle spese che non sono considerate mai di rappresentanza?
Non costituiscono spese di rappresentanza le c.d. “spese di ospitalità”, vale a dire le spese di viaggio, vitto e alloggio, sostenute per ospitare clienti, anche potenziali, in occasione di:
- mostre, fiere, esposizioni ed eventi simili in cui sono esposti i beni e i servizi prodotti dall’impresa;
- ovvero visite a sedi, stabilimenti o unità produttive dell’impresa.
Gli omaggi devono rispettare le stesse regole?
Generalmente gli omaggi sono qualificati ai fini fiscali, fatte salve le eccezioni come gli omaggi ai dipendenti, come spese di rappresentanza.
Non rientrano nella disciplina delle spese di rappresentanza, e non sono quindi soggette ai limiti sopra esposti, le spese per omaggi:
- di valore unitario non superiore ad euro 50
- di cui sono beneficiari i dipendenti dell’impresa.
Ci sono delle differenze per i professionisti?
Sì, ci sono delle differenze per i professionisti in quanto nei loro confronti non sono applicabili gli scaglioni percentuali di deducibilità previsti per le imprese ma la percentuale unica dell’1 % dei compensi percepiti nel periodo d’imposta.
Inoltre, altra differenza, per tale tipologia di contribuenti gli omaggi di valore inferiore a 50 euro concorrono al raggiungimento dell’1% quindi non sono sempre e comunque deducibili.
Perciò, un professionista che nel 2018 ha conseguito compensi per euro 100.000 può dedurre spese di rappresentanza per un massimo di euro 1.000, compresi gli omaggi di valore inferiore ad euro 50.